martedì 21 ottobre 2014

5. Carlo Bernari, Tre operai

Avvertenza: sto per tirarvi un pippone allucinante. Poi non dite che non vi avevo avvertito. 

Goffredo Fofi recensisce l'ultima edizione di Tre operai di Carlo Bernari, uscita nel 2011 per merito di Marsilio, che ha curato una collana di tascabili interamente dedicata al Novecento italiano. Applausi. Io ho però letto il romanzo in una vecchia edizione Mondadori, anzi in due: quella del 2005 e quella 1975, ovviamente la mia preferita: pagine ingiallite e odore di storia. Tre operai è il romanzo d'esordio (e a detta di tutti, il migliore) del buon Carlo Bernari, che in realtà di cognome faceva Bernard perché la sua famiglia era di origine francese. Ma lui è nato a Napoli, ed infatti si inserisce a bomba nel filone dei meridionalisti. Questo romanzo è frutto di diverse riscritture, ed esce nel 1934 per merito di Cesare Zavattini, a cui l'autore dedica appunto le sue sudate carte, perché era stato l'unico che ci aveva creduto abbestia. E a ragione, aggiungo io! Per i temi trattati il romanzo fu curiosamente male accolto dal regime fascista, che ne vietò la diffusione. Fine dei cenni storici.

Al ginnasio avevo un curioso professore di italiano leggermente affezionato al Neorealismo; come conseguenza, io, i miei compagni ed intere generazioni di studenti, alla tenera età di quattordici-quindici anni ci siamo sparati libri leggeri e scorrevoli come Fontamara di Silone, Gente in Aspromonte di Alvaro, Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi. Roba che andava giù come niente, insomma. Dopo Fontamara (tanto tanto amore) ho attraversato un periodo di disagio infinito (toh!) e quindi ho un attimo perso le fila della questione, ma dentro di me ormai si era sedimentata la passione per quel tipo di letteratura, che ho continuato a coltivare in anni più felici. Metello, Il sentiero dei nidi di ragno, La ciociara, Uomini e no, solo per citare alcuni dei capisaldi della mia biblioteca. Insomma, tutto questo per dire che ho letto Tre operai con gioia, trionfo e nostalgia.

Si tratta di una storia dove (stranamente) il disagio regna sovrano. È un disagio triste, cupo, che ti si attacca ai vestiti e non concede niente. I tre operai in questione sono Teodoro, il protagonista, Anna, uno dei personaggi femminili più ben delineati della narrativa italiana contemporanea, e Marco. Si incontrano inizialmente in una lavanderia industriale di Napoli, tra i fumi tossici, i macchinari antiquati e le speranze represse. La città stessa è lontanissima dai ritratti paesaggistici che ne erano stati fatti fino ad allora, ed assume invece il carattere della metropoli che ti opprime e ti risucchia, dove piove costantemente e tutto appare slavato e malinconico. I tre personaggi vi si muovono e ne sono respinti, tant'è che cercheranno di fare fortuna altrove, Teodoro e Marco a Taranto, per poi passare anche dal fronte, ed Anna a Roma. Alla fine però si ritroveranno a vivere tutti insieme, in una misera casetta fuori Napoli, sprofondando sempre più nella desolazione e nel baratro. In mezzo, i dissidi interiori sulla lotta di classe, la rivoluzione operaia, l'occupazione delle fabbriche del 1921; l'ascesa del regime fascista, l'impossibilità di combattere, l'immobilismo come condizione esistenziale. Teodoro vorrebbe solo essere libero, ma nemmeno lui sa cosa sia questa libertà tanto aspirata. Anna muore, divorata dalla malattia, e la sua morte è «un emblema disperato di solitudine» [Geno Pampaloni].

Oltre alle tematiche affrontate, che hanno contribuito a designare Tre operai come romanzo anticipatore del Neorealismo (anche se in questo caso i personaggi non incarnano nessun ideale di progresso, non sono eroi positivi, bensì poveri cristi), la novità di Bernari è quella di utilizzare una struttura narrativa nuovissima per l'ambiente letterario italiano (retaggio della sua giovinezza passata a fare scorribande negli ambienti avanguardistici parigini): la terza persona, infatti, concede delle incursioni nella mente di Teodoro, facendoci assaggiare dei pezzi di monologo interiore che costringono ancora di più a fare i conti con la vita spezzata, ansiogena e senza direzione del protagonista. Bernari però trova lo spazio anche per commoventi momenti di lirismo, che lo avvicinano comunque al Decadentismo ancora dominante in Italia.

Se ancora non si è capito, questo romanzo va letto assolutamente, perché è parte integrante del nostro dna, perché è inspiegabilmente poco conosciuto, perché è come ricevere uno schiaffo dritto in faccia, tante sono le riflessioni che porta a fare sull'Italia di oggidì. Vi lascio con un tocco sentimentalista e di parte, tratto dalla Prefazione a Il sentiero dei nidi di ragno scritta da Calvino nel 1964 per una nuova edizione del suo primissimo romanzo, uscito nel 1947.

Il "neorealismo" non fu una scuola. (Cerchiamo di dire le cose con esattezza). Fu un insieme di voci, in gran parte periferiche, una molteplice scoperta delle diverse Italie, anche - o specialmente - delle Italie fino allora più inedite per la letteratura. [...] La caratterizzazione locale voleva dare sapore di verità a una rappresentazione in cui doveva riconoscersi tutto il vasto mondo: come la provincia americana in quegli scrittori degli Anni Trenta di cui tanti critici ci rimproverarono di essere gli allievi diretti o indiretti. 
In sintesi: 

  • Paese: Italia.
  • Prima edizione originale: 1934.
  • Data recensione Fofi: 22 settembre 2011.
  • Pagine: 207.  
  • Periodo di lettura: 27-31 dicembre 2013.
  • Consigliato: abbestia

B.

mercoledì 15 ottobre 2014

Viva viva il #socialbookday!

Il sito Libreriamo.it promuove, per il secondo anno consecutivo, il Social Book Day. Si tratta di un'iniziativa che propone di invadere i social network con l'hashtag #socialbookday, per diffondere ovunque il proprio ammòre smisurato e sconfinato nei confronti dei libri e della lettura. Volevate che io non vi partecipassi??? Che rimanessi indietro? Che passassi tutto il pomeriggio a dormire? Ebbene no! 


Quindi eccomi qua a sproloquiare sul Grande Tema, per la vostra immensa gioia. Qualche tempo fa ero ancora un essere piuttosto schivo e che trovava difficile anche solo chiedere un'informazione ad uno sconosciuto. Stavo ore ed ore a scrivere brani di diario paranoici ed introversi, e non riuscivo a comunicare un pensiero, un'idea, un'opinione una. Poi all'improvviso sono diventata un animalino sociale, e adesso parlo anche un po' troppo. Ho imparato ad essere kamikaze, e a costo di essere inopportuna cerco sempre di esprimere tutto quello che partorisco nella mia giovine testa, non solo scrivendo ma anche a suon di blablabla. Tutto questo per dire che sono una fan sfegatata della condivisione. E con gli anni ho capito anche che il mondo sta prendendo una direzione, quella del condividere come se non ci fosse un domani. Si potrebbero fare grandi discorsi in proposito, ma siccome poi diventerei noiosa e pedante, dico soltanto che ho mollato i freni, e guardo alle iniziative come quella del #socialbookday con gioia ed entusiasmo.


I social network sono una grande opportunità per il mondo dell'editoria tutto. Le pagine delle piccole e medie case editrici possono fare pubblicità alle proprie uscite e al loro lavoro gratuitamente e diffusamente, così come le librerie indipendenti possono far conoscere le loro realtà; le biblioteche possono essere più vicine ai loro utenti, i lettori si possono incontrare, si possono scoprire curiosità grazie a pagine dedicate, ed essere sempre aggiornati su quello che avviene. Io lo vedo un po' come un grande Caffè Letterario del Terzo Millennio, da cui poi si possono creare occasioni di incontro reale, certo, ma anche rimanendo dietro al proprio schermo si ha una possibilità in più di entrare in nuovi mondi, vicini e lontani. Anche solo aprendo questo blog ho scoperto un sacco di cose che fino a poco fa ignoravo completamente, sentendomi finalmente parte di qualcosa che cercavo da tempo, e quindi plaudo al #socialbookday che si impegna a diffondere sempre di più l'importanza di questi spazi, e il sempre imperativo categorico del leggete, leggete, leggete!   

Una delle proposte per celebrare il #socialbookday è quella di citare una frase di un libro che ci sta particolarmente a cuore. Ebbene, devo confessare che le citazioni non mi sono mai piaciute più di tanto, e raramente mi sono ritrovata a ricopiare brani dai libri, non so perché! Però mi sono messa a spulciare in un po' di vecchie cose, ed ecco a voi una delle poche frasi che è davvero rimasta dentro di me, perché poi chi lo sa: 

«Negli occhi della gente, nel loro andamento lento, faticoso, nel chiasso e nel frastuono, le carrozze, le automobili, i tram, i furgoni, gli uomini-sandwich che vanno avanti e indietro col loro passo strascicato e ondeggiante, le bande e gli organetti; nel trionfo e nel tripudio e nel canto stranamente acuto di un aereo, ciò che amava era: la vita, Londra, quell'attimo di giugno». Virgina Woolf, Mrs Dalloway
B.

lunedì 13 ottobre 2014

4. Emmanuel Carrère, Limonov

La recensione di Fofi è in questo caso particolarmente magnetica ed ispirante, e a lettura ultimata ho trovato che rendesse assolutamente giustizia a questo originalissimo romanzo. I superlativi e gli avverbi si sprecano, ma vi assicuro che questo libro, edito da Adelphi, è un trip allucinante

Praticamente Carrère nel 2006 si trova a Mosca, durante la silenziosa manifestazione commemorativa dei parenti delle vittime del teatro della Dubrovka, e tra la piccola folla scorge un volto noto, quello di Eduard Limonov: lo aveva conosciuto a Parigi all'inizio degli anni Ottanta, quando appariva come «un tipo sexy, smaliziato, spiritoso, che sembrava al contempo un marinaio in libera uscita e una rock-star». Erano i tempi in cui le case parigine raccoglievano i nuovi scapigliati, tra cui appunto questo strano scrittore russo, che «non era un romanziere: sapeva raccontare soltanto la sua vita», ma ci riusciva benissimo.
Anni dopo, il giornalista francese Patrick de Saint-Exupéry stava preparando il lancio di una rivista di attualità, e chiese a Carrère un argomento per il primo numero. Lui rispose subito, senza indugio, Limonov, che nel frattempo aveva fondato in Russia il Partito Nazional Bolscevico. Così i due si incontrano nuovamente, passano due settimane insieme, e l'idea iniziale di un articolo si trasforma presto in un romanzo-biografia-reportage incentrato sulle gesta di questa sorta di anti-eroe, che sembra talmente assurdo da essere frutto della fantasia dell'autore, e che invece è quanto mai reale.

Una delle costanti che il lettore ritroverà in questo libro è infatti il senso di straniamento che deriva dalla sensazione di stare leggendo una storia realmente accaduta, perché Emmanuel Carrère riesce nel difficile compito di trasformare una vita, già di per sé avventurosa, in Letteratura. Perché con Limonov riesce a raccontare una storia che riguarda tutti noi, anche se ci sta parlando di un individuo che «è stato teppista in Ucraina, idolo dell'underground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, scrittore alla moda a Parigi, soldato sperduto nei Balcani; e adesso, nell'immenso bordello del dopo comunismo, vecchio capo carismatico di un partito di giovani desperados». Non tutte le parti del romanzo, suddiviso nelle varie fasi della vita del protagonista, hanno destato in me lo stesso interesse, ma nel complesso è stata una lettura appassionante e molto intrigante, che spinge nell'abisso della sovversione dei canoni tradizionali di bene e male, come deve sempre fare, a mio avviso, la buona Letteratura (come viene sottolineato anche su questo bell'articolo pubblicato su minima&moralia).

Proprio oggi, per caso, mi sono imbattuta in un articolo su Doppiozero, in cui Marco Belpoliti prosegue la conversazione iniziata al Festivaletteratura di Mantova con il professor Gian Piero Piretto, a proposito di Putin e dell'animo russo. Si tratta di un pezzo molto lungo ma allo stesso tempo estremamente piacevole ed interessante, che si prefigge di esplorare le peculiarità di un popolo dalle infinite sfaccettature. Tra i vari concetti delineati, due in particolare mi hanno fatto pensare a Limonov, quello della malinconia russa e quello dell'eterno conflitto tra Occidente e Russia, perché penso a Limonov come all'incarnazione di tale opposizione: lui è stato ed è, allo stesso tempo, dentro e fuori la Russia, rappresentante contemporaneo della fine di un sogno, e come ci ha mostrato Carrère, una leggenda vivente contro il cinismo dilagante. 

Ritorno un attimo alla mia consueta idiozia, abbandonata non so perché in questo post, dicendo che niente, questo libro è tanto tanto figo! 

In sintesi: 
  • Paese: Francia.
  • Prima edizione originale: 2011.
  • Data recensione Fofi: 24 ottobre 2012.
  • Pagine: 356.
  • Periodo di lettura: 6-26 dicembre 2013.
  • Consigliato: abbestia.
B. 

giovedì 9 ottobre 2014

Murakami uno di noi

La mia arte non conosce limiti (...).

Ebbene sì. Anche quest'anno, in perfetto stile Leonardo Di Caprio, Murakami Haruki si è visto portar via il Premio Nobel per la Letteratura. In realtà, quando avevo visto che il Nobel per la Fisica era stato assegnato a tre giapponesi, le speranze che nutrivo si sono andate via via frantumando. Peccato, perché secondo i bookmaker poteva essere l'anno buono in cui il Nobel andava a qualcuno che non solo conoscevo, ma addirittura che amavo (a differenza di ciò che è avvenuto negli ultimi tre anni, capra che non sono altro)! Invece no. Addirittura mi sarei potuta vantare, se lo avesse vinto Ngugi wa Thiong'o, di avere una copia autografata di un suo libro, di averlo visto in carne ed ossa, di avergli stretto la mano. Sarebbe stata una (seppur) magra consolazione (e insomma ammetto che ne sarei stata felice, perché lui è proprio figo). Invece no. Però ci sono andata vicino, perché, fatalità, un libro del vincitore, Patrick Modiano, è il prossimo della lista del Progetto di Lettura (qui la recensione di Fofi). 

Tutto il mio sdegno. 
Prima di parlare di Modiano, però, abbiate pietà, e fatemi fare un'arringa scritta per quel buon uomo di Murakami. Io lo ho scoperto grazie alla mia amica Ilaria. Lei è davvero un'esperta in materia, lo ha letto praticamente tutto, e come me è profondamente amareggiata per il mancato premio. Un giorno di qualche anno fa parlavamo di libri, come spesso ci capita, e mi ha suggerito di leggere questo scrittore giapponese, cominciando magari con Norwegian Wood, inizialmente tradotto in italiano come Tokyo Blues (lo trovate edito da Einaudi nella bellissima traduzione di Giorgio Amitrano). All'inizio ero un po' scettica, perché allora nutrivo ancora un po' di turbamento nell'avvicinarmi agli scrittori contemporanei. Dopo solo qualche riga, però, sbam! Mi sono follemente innamorata. La scrittura di Murakami riesce ad essere allo stesso tempo profonda ed intrigante, concreta ed astratta, alienante e magica. Ti senti in trappola: non riesci a staccare gli occhi dal libro, i personaggi diventano improvvisamente parte della tua vita, le sue storie oniriche ti trasportano in mondi lontanissimi ed allo stesso tempo senti che sta parlando proprio a te. Ho provato le stesse sensazioni leggendo Kafka sulla spiaggia, e ringrazio che ci siano un sacco di suoi libri che devo ancora scoprire. 
Murakami non è solo uno scrittore finissimo, però; è anche traduttore e saggista, cittadino del mondo, profondo conoscitore della Letteratura, che annovera Raymond Carver come suo «migliore amico letterario». E soprattutto è uno di quei pochi, pochissimi scrittori viventi che riesce ad essere allo stesso tempo popolare e raffinato, senza cadute di stile, senza compromessi. Insomma, cara Accademia Svedese, io un pensierino un attimo più concreto, su di lui, lo avrei fatto!

Ok, grazie. Adesso passiamo al vincitore effettivo di questo 2014, perché, nonostante tutto, non deve in passare in secondo piano, in quanto non è che sia proprio il primo venuto. Scrittore e sceneggiatore francese, nato nel 1945, ebreo, con origini italiane, Patrick Modiano è edito in Italia da Guanda ed Einaudi (che continua a far strage di Premi Nobel). Allievo di Queneau, i suoi temi principali vanno dalla figura dello straniero e dell'esule, all'occupazione nazista, alla figura del padre. Ecco la motivazione per la sua vittoria: 
«Per l'arte della memoria con la quale ha evocato i destini umani più inafferrabili e scoperto il mondo della vita dell'occupazione».
Aspetto con impazienza di iniziare il suo Nel caffè della gioventù perduta, di cui potrete leggere la recensione non appena mi metterò in pari con le altre 40 che devo scrivere. Eccellente. Attendete fiduciosi, e se qualcuno di voi legge già da tempo immemore Patrick Modiano e mi vuole dare qualche dritta... non chiedo di meglio!

B. 

lunedì 6 ottobre 2014

Quando i libri vengono strumentalizzati: il caso delle sentinelle in piedi.

Ok, adesso mi calmo, mi tranquillizzo e scrivo con calma questo post. Devo confessare che era da molto tempo che non mi infervoravo così tanto per una questione mediatica, ed onestamente ne avrei fatto volentieri a meno. Ma è da ieri che le mie mani tremano e ho bisogno di esternare tutto il disagio, il vero disagio, che è scaturito dalle manifestazioni delle sentinelle in piedi (non si meritano nemmeno la lettera maiuscola) in 100 piazze italiane, ieri, 5 ottobre, tra cui la mia adorata Pisa. Stamattina ho comprato il giornale per vedere come se ne parlava, ma ovviamente la cronaca racconta solo degli scontri avvenuti a Bologna. Io però vorrei concentrarmi sul punto fondamentale di questo non-movimento (perché a quanto dicono loro, non sono un'associazione, ma un metodo): la loro contraddizione intrinseca che li rende quanto mai ridicoli ma soprattutto ignobili

Foto (leggermente modificata) di Mariangela Clemente. Fonte: Facebook.


Andiamo per gradi. Vado sul loro sito che, ad amor del vero, è anche fatto molto bene, e mi guardo il loro meraviglioso video di presentazione: 
Ciao tv e giornali stanno distruggendo la tua idea di famiglia? Vorresti far sentir la tua voce ma non sai come? C'è una soluzione semplice basta un libro e un'ora del tuo tempo. Scendi in piazza a leggere in piedi in silenzio per difendere la tua libertà di espressione. Leggere non è mai stato così urgente necessario potente vitale.
Innanzitutto. Se sono i giornali e la televisione a distruggere il vostro ideale di famiglia, beh, son problemi grossi. Anche io vedo ogni giorno crollare le mie certezze ogni qual volta guardo la pubblicità di uno shampoo con modelle dai capelli che io non avrò mai, ma non per questo vado a rompere i cabasisi in piazza contro la fragilità delle mie chiome. Quando sui giornali vedo dei super figoni biondi, non mi metto a piangere pensando che la mia libertà di espressione sia stata violata perché io preferisco il maschio latino. Me ne faccio una ragione. Quindi, avvicinandosi per la prima volta alle sentinelle del vattelappesca, fanno passare il messaggio di una lotta ai media che corrompono la loro famiglia del mulino bianco. Appunto. Ed io fin qui potrei dire anche vabbè, poveri scemi, gli ennesimi bigotti. Invece no. 
Visto che al peggio non c'è mai veramente fine, questi nuovi difensori della famiglia tradizionale, paladini del XXI secolo, che si schierano tra l'altro contro la proposta di introduzione al reato di omofobia presentata da Ivan Scalfarotto, usano i libri come loro arma principale. E qui, senza mezzi termini, mi incazzo ma forte. Bimbi, non ci siamo. Per niente proprio. Guardando un altro video, dove scorrono felici le immagini delle loro statuarie manifestazioni, si sentono scorrere frasi propagandistiche, tra le quali emerge la seguente: 
«Il libro è simbolo di libertà d'espressione, durante i totalitarismi i libri li bruciavano, noi invece crediamo che la formazione costante sia necessaria per avere una conoscenza sempre critica rispetto al mondo che ci circonda, per non addormentarci».
(segue musica apocalittica e lista, tipo trailer cinematografico, delle città dove si svolgeranno i loro raduni. Paura). Risulta palese che vi sia qualcosa che non torna. Perché, quando hanno deciso di fondare questo nefasto teatrino, nessuno li ha presi a schiaffi esclamando Oh, ma vi ripigliate??? Il caso ha voluto che proprio stamattina, durante il mio studio della Storia dell'Editoria Italiana, affrontassi gli anni del fascismo. Il partito fascista ha condizionato notevolmente il sistema editoriale italiano, tramite finanziamenti e sovvenzioni alle aziende di cultura, vitali per la sopravvivenza delle stesse. L'obiettivo era ovviamente quello di ottenere il più vasto consenso popolare possibile, e ricordo un allegro motto che recitava «Libro e moschetto, fascista perfetto». Quindi è vero che i libri venivano bruciati e censurati, ma sono anche stati utilizzati come uno dei principali strumenti di propaganda. Ciò che si chiama strumentalizzazione. Gli italiani si sa, hanno la memoria corta, ma le sentinelle ne sembrano addirittura prive. 

Ancora una volta i libri vengono presi e usati impropriamente, portati a vessillo di formazione e conoscenza critica, da chi evidentemente si è un attimo perso gli ultimi tre secoli di Storia della Letteratura. Dove che ne so, uno a caso proprio, un certo Oscar Wilde, si è fatto un bel soggiorno di due anni in una prigione inglese a causa della sua omosessualità; Cristopher Isherwood, uno dei pilastri della letteratura del Novecento, era, ommioddio, dell'altra sponda pure lui. Ed anche un tale Marcel Proust, che insomma non ha nemmeno scritto Il Capolavoro Per Antonomasia, era diversamente etero. Solo per citarne alcuni, ovviamente. Non serve una laurea, basta saper googlare

Bene. Mi fermo qui, perché ho già dato a questi poverini troppo spazio. Di certo hanno centrato il loro obiettivo. Si sono organizzati bene, hanno vestito i panni degli intellettuali e hanno fatto parlare di loro a destra e a manca. Bon per voi bimbi, che la domenica non avete di meglio da fare che starvene come le belle statuine nelle piazze italiane. Io, preferisco stare al mare a leggere un buon libro, ma per davvero. Concludo con l'auspicio che il libraio di Tra le Righe, a Pisa, ha manifestato attraverso la sua vetrina:


Con tanto ma tanto amore, 

B. 

domenica 5 ottobre 2014

3. John Le Carré, Il nostro traditore tipo


Quando ho letto la recensione di Fofi, ho subito pensato che il momento fosse giunto. In barba ai miei soliti canoni, mi sono detta Bea, ce la puoi fare, hai letto Guerra e Pace, è arrivata l'ora di una spy-story. Confortata dall'opinione del buon Goffredo sulla «immensa superiorità di le Carré sui giallisti e noiristi alla moda», mi sono armata di coraggio e ho iniziato la lettura de Il nostro traditore tipo (Our Kind of Traitor, Mondadori); con entusiasmo, mente aperta e tanta buona volontà. 

Man mano che le pagine andavano avanti, però, la fatica si faceva sempre più sentire, la noia aveva la meglio e dovevo tornare indietro perché riuscivo solamente a pensare "ma a me che cavolo me ne frega". Niente. Non sono riuscita ad immedesimarmi in un personaggio uno, per un motivo o per l'altro tutti mi hanno infastidita, dal russo cattivo/buono Dima, il capo clan, a quello stolto di Perry che gioca a tennis e non si capisce mai quel che vuole fare, a quella drama queen della sua fidanzata che si è affezionata abbestia alla figlia intellettuale di Dima, che tra l'altro ha una moglie matrona russa davvero imbarazzante. I temi poi sono classici, denaro sporco, servizi segreti ambigui, bene e male che si confondono, disagio internazionale

Ho penato davvero un sacco per arrivare alla fine, ma senza nessun tipo di curiosità. Semplicemente ho capito che queste storie non fanno per me, anche se mi sono ben resa conto della qualità della scrittura e dell'intelligenza dell'autore, che ovvio non è il primo venuto, ma un pluri-ottantenne ex agente della CIA che di romanzi di spionaggio ne ha scritti a pacchi. Tra l'altro nel 2011 mi ero vista al cinema La Talpa (Tinker Tailor Soldier Spy), film diretto da Tomas Alfredson tratto appunto dall'omonimo romanzo di Le Carré, e devo dire che non mi era affatto dispiaciuto, tutt'altro. Quindi la mia personale conclusione è che forse forse proverò a dare un'altra possibilità al genere, giusto per poter dare o meno un no definitivo, magari cimentandomi proprio con la lettura de La talpa. Però, più avanti.

In sintesi: 

  • Paese: Inghilterra.
  • Prima edizione originale: 2010.
  • Data recensione Fofi: 28 novembre 2010.
  • Pagine: 333.
  • Periodo di lettura: 27 novembre - 5 dicembre 2013. 
  • Consigliato: se vi piacciono gli intrighi internazionali, i patriarchi russi e gli inglesi incerti, allora .
B.       

giovedì 2 ottobre 2014

Festivaletteratura 2012: cronaca di cinque giorni felici

Premessa 1: il blog ha una nuova veste grafica, e il merito è tutto di quella figa di mia sorella, Barbara, che ringrazio pubblicamente per il tempo  e le energie che mi ha dedicato, dichiarandole tutta la stima e tutto l'ammòre che provo nei suoi confronti. 

Premessa 2: questo post riguarda una cosa vecchia e sarà assai lungo. Finora ho cercato di trattenermi, ma è giusto che si sappia che sono estremamente prolissa quando si tratta di raccontare vicende realmente accadute: quando per la prima volta mi sono avvicinata agli scrittori francesi dell'Ottocento, mi sono sentita meno sola. Se non te ne frega una cippa, oh lettore, sappi che hai tutta la mia comprensione, ma siccome il disagio è in me avevo davvero davvero bisogno di narrare le mirabolanti avventure di Bea e Madre al Festivaletteratura 2012.

Le prove
Non ricordo con esattezza come cavolo mi fosse venuto in mente, proprio quell'anno, di andare al Festival. Non ricordo nemmeno se ne scoprii l'esistenza in quei giorni o se al contrario lo conoscessi da tempo e bramassi di andarci: vuoto totale. Era la fine di un'estate che tutto sommato aveva già dato grandi gioie, ma, evidentemente non paga, mi sono ritrovata davanti al pc a scorrere il programma, e niente, sono impazzita. Nel giro di un giorno coinvolgo Madre (l'unica persona sulla faccia della terra che sarebbe riuscita a sopportarmi nelle mie mire espansionistiche), cerco e trovo grazie ad una botta di culo enorme il B&B perfetto, studio un programma ad hoc spulciando tra gli eventi rimasti disponibili e li prenoto con ardore, ma soprattutto mi faccio dei trip sconvolgenti su googlemaps e tripadvisor, ed individuo e prenoto i ristoranti dove saremmo andate a mangiare, in base alle location e alle distanze tra un evento e l'altro. Una pazza furiosa. Un caso umano. Ma cosa volete farci...

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