venerdì 14 novembre 2014

#Pbf2014 - 9 novembre: intervista a Morten Søndergaard e tavola rotonda sulla traduzione della poesia

Lo confesso: prima di domenica conoscevo Del Vecchio Editore solo di nome, ma non di fatto. Una mancanza imperdonabile. Una caduta di stile clamorosa. Ma come ho già avuto modo di dire altre volte, questo blog mi sta dando una grande mano a colmare un sacco di lacune, e quindi dai, c'è speranza. Ho incontrato Pietro Del Vecchio mentre stava parlando con Anna Basile, redattrice di Iperborea, a proposito della cena con gli scrittori del sabato sera nella ridente Pisa; mi sono elegantemente inserita nella loro conversazione (...) suggerendo un paio di ristorantini, e la domenica sono andata appunto allo stand di Del Vecchio per sincerarmi della riuscita della serata. Oh, Bea. La cena era andata bene, io ho tirato un sospiro di sollievo e ne ho approfittato per fare due chiacchiere con l'editore



L'obiettivo dei libri di Del Vecchio è quello di essere oggetti unici, che non siano solo contenuto, ma un'esperienza di lettura a 360°, attenta quindi alla carta, ai font, alla grafica. Un oggetto bello, sia fuori che dentro, con contenuti che lo arricchiscano anche dal punto di vista para-testuale. Una cosa davvero ganzissima sono ad esempio le istruzioni per l'uso collocate alla fine del volume, diverse per ogni libro (possono essere un bugiardino, o la lavorazione di un telaio, o indicazioni scientifiche), che si possono leggere tanto prima quanto dopo. Un'altra caratteristica peculiare della casa editrice è lo spazio dedicato al traduttore: il suo nome è infatti posto in copertina, e gli viene dedicata la scatola nera, luogo dove può raccontare la sua esperienza di traduzione. Meraviglia. Inoltre, la quarta di copertina presenta le parole chiave del romanzo o racconto o raccolta di poesie, in modo da inquadrarne il contenuto e dare la possibilità al lettore di elaborarlo in proprio. Insomma, una figata totale! Ogni libro per Pietro Del Vecchio è un universo a sé, e i loro testi spaziano per collocazione geografica, andando ad indagare parti del mondo poco frequentate dal lettore contemporaneo. Per il 2015 hanno in serbo un progetto kafkiano, dando così una linea editoriale con caratteristiche ben precise, ferma restando l'unicità di ogni loro volume. 
Due libri mi colpiscono in maniera particolare: il primo è Acqueforti di Buenos Aires di Roberto Arlt, l'unico testo della Del Vecchio che conoscevo. Perché? Perché a ottobre, in collaborazione con Edizioni Sur (ne ho parlato qui!) si è svolta la settimana dell' "Arlt Attack! Piombo e colori a Buenos Aires", dedicata appunto all'uscita delle Acqueforti per Del Vecchio e di Scrittore fallito per Sur. E quindi ho colto l'occasione per accaparrarmi questa raccolta metropolitana dello scrittore argentino. Il secondo libro è invece Blumenberg della tedesca Sibylle Lewitscharoff, "la scrittrice del 2013". Ho chiesto a Pietro Del Vecchio di consigliarmi un titolo tra tutti quelli presenti nel loro catalogo, il suo preferito. Lo ho messo un po' in difficoltà, ma alla fine ha preso in mano questo, e da come me ne ha parlato non ho potuto fare a meno di portarmelo via: è un romanzo, mi dice, in cui l'ironia dà uno sguardo diverso sulle cose. Mio, mio!
E poi, ovviamente, mi impossesso della raccolta di poesie A Vinci, dopo. Gli alberi hanno ragione. Blog del danese Morten Søndergaard, visto che sto un attimo per intervistarlo. Ommioddio, ommioddio! Morten Søndergaard ha vissuto per otto anni in Toscana, prima a Vinci e poi a Pietrasanta. La sua poesia, mi dice Pietro Del Vecchio, è reale, carnale, concreta. Una poesia che parla di quotidianità, delle cose che hanno a che fare con la vita delle persone, senza ridursi soltanto a materia libresca. Con queste premesse la mia emozione è alle stelle, ed ecco che arriva l'autore. Morten (abbiate pietà, fatemelo chiamare solo per nome!) si rivela immediatamente una persona meravigliosa. Dico addio alla mia credibilità e alla mia professionalità (...?) dichiarando senza timore che è un vero e proprio cucciolo. Ok, potete abbandonare il blog. Ebbene, è tutto vero. Andiamo al baretto del Festival, ci accomodiamo ed iniziamo la nostra chiacchierata. Ovviamente mi copro subito di ridicolo snocciolandogli le mie frasi in danese ad effetto, e Morten è divertito e mi fa pure i complimenti per la pronuncia... buahah! La nostra conversazione si focalizza immediatamente sul tema del blog, perché la sua raccolta di poesie comprende due lunghi testi, Blog notturno e Blog diurno, nati proprio nel suo spazio personale sul web. L'idea di ricavarsi un angolo tutto per sé è nata proprio a Pietrasanta, dove un amico scultore disegnava solo per se stesso, in modo da rendere il proprio lavoro davvero personale ed autentico. Così Morten ha lavorato ogni giorno sui testi, che ad oggi sono stati però già pubblicati e tradotti. Dieci anni fa, quando è nato il progetto, in pochi utilizzavano il blog; dopo qualche tempo, invece, tale fenomeno è esploso. E poi cosa verrà? Fra tre anni, magari, una poesia scritta su Twitter sarà già sorpassata, obsoleta, dated (mi fa  lo spassoso esempio della pornografia anni Ottanta e della politica, e ci interroghiamo ridendo se i due fenomeni possano essere connessi...) e quindi aveva un po' di timore nel fermare sulla carta le sue creature. Quando Bruno Berni lo ha tradotto si era chiesto infatti se modificare il titolo della raccolta, Blog appunto; poi ha deciso di non farlo e adesso ne è molto contento. L'opera è stata tradotta in varie lingue, ma il titolo originale è rimasto, per sottolineare una scrittura totalmente libera, un linguaggio del tutto personale che si è sviluppato nel corso degli anni e delle esperienze. Adesso Morten vive tra Parigi e Copenhagen, e allora gli chiedo di riflettere sul tema della propria identità. Ingenua Bea! Lui sorridere, mi chiede conferma di ciò che gli ho chiesto, e poi si prende molto tempo prima di rispondermi. Lo adoro! Mi dice infine che lo spostamento è molto interessante. Le cose crescono nelle crepe, anche la traduzione è uno spostamento, le cose che facciamo si spostano per non guardare giù. Lo scrittore ha la fortuna di poter lavorare dove vuole, e questa è una grande libertà, ma allo stesso tempo una responsabilità, perché bisogna fare attenzione a non perdersi in cose inutili. Morten è molto consapevole della sua fortuna di poter vivere di e con la poesia


Parliamo un po' di Danimarca (io cercherò di non piangere). A lui ovviamente piace di più la sua nazione quando la guarda da fuori. Riesce a vedere l'enorme sostegno culturale che i Paesi Scandinavi danno alle proprie nazioni, anche se ultimamente la politica è cambiata anche lassù. Adora la bicicletta e l'apertura del popolo danese (anch'io Morten, anch'io!). Non gli piace invece il provincialismo un po' dilagante dei suoi connazionali, che talvolta sono eccessivamente patriottici. 
Ci spostiamo poi sulla sua formazione. Mi racconta che da piccolo scriveva durante il percorso scuola-casa per non arrivare a destinazione: il suo era un modo per fare un'altra strada. Non pensava che i libri della sua infanzia facessero parte del suo mondo, perché erano fuori dalla sua lingua, una lingua che non padroneggiava. Ha cominciato a leggere con la poesia, in Danimarca ha poi frequentato una scuola di scrittura (Forfatterskolen) e ha trovato altri poeti con cui confrontarsi: per lui il senso di condivisione è importantissimo. Il suo punto di riferimento è la poetessa danese Inger Christensen, e poi Andrea Zanzotto, che ha provato anche a tradurre. Ho un sorriso a otto milioni di denti: è stato un incontro fantastico, e ringrazio Morten per lo scambio d'idee e Pietro Del Vecchio per aver favorito l'incontro. Det var så hyggelig!

Mi sembra opportuno inserire in questo post anche la cronaca dell'incontro che si è tenuto alle 15.00 al Book Club in occasione del Translation Day indetto dal Festival, perché si parla proprio di Tradurre e pubblicare poesia oggi (quanto ci sto dentro). Una tavola rotonda con (l'ormai idolo) Bruno Berni, Franco Buffoni, Valerio Nardoni di Valigie Rosse e Andrea Sirotti, moderati da una meravigliosa Ilide Carmignani. Pronti, partenza, via!

Intanto, Franco Buffoni, il direttore della rivista Testo a fronte, fa un annuncio: la poesia si può e si deve tradurre! (standing ovation). Al vecchio cosa crociano, lui sente di dover sostituire un come neo-fenomenologico: non più cos'è la poesia, ma com'è la poesia, come la si traduce. Vi è sempre più la necessità di rifarsi alla teoria poundiana, alla teoria dei compensi, alla teoria fortniniana, che forniscono degli ausili al traduttore, già di per sé però capace di padroneggiarli. Buffoni richiama poi le poetiche di gruppo degli anni dell'Ermetismo Fiorentino, dove l'interazione tra poesia e traduzione era fondamentale, ed ancora oggi ultranecessaria (oddio ma Buffoni usa termini gggiovani come me, lo amo!). La stessa lingua di Dario Fo proviene da un'esperienza simile, quella della Milano degli anni Cinquanta, la Milano di Brera, altro momento alto di poetica di gruppo. Necessario è anche il confronto tra passato e presente, il senso di continuità dei poeti in fieri, giovani e traduttori, è fondamentale. L'imperativo categorico di adesso è quello di sostituire la parola fedeltà con la parola lealtà, e l'intraducibilità deve diventare difficoltà transculturale; che può essere di vari livelli, certo, ma se ne può sempre venire a capo. Il traduttore deve essere in grado di poter dire all'autore su cui ha lavorato, "è vero, ti ho tradito, ma ti amo". 

Ilide Carmignani passa poi la parola a Bruno Berni, che si occupa di lingue di minore diffusione. Berni racconta di aver tradotto molta prosa, che è saturo di gialli, e che ora traduce poesia, sebbene non ne sia mai stato un grande lettore. Una quindicina d'anni fa è poi avvenuto l'incontro con Morten Søndergaard, che lo ha convinto a fare una selezione di poeti danesi, e da allora ha iniziato a leggere anche la poesia italiana (in rete ho trovato questo articolo dove parla di ciò, dategli uno sguardo). Bruno Berni ricorda ancora (lo aveva già fatto durante l'incontro con Morten Brask) che quando si ha accesso ad una cultura altra tramite un mediatore, la poesia è posta su un gradino superiore, poiché accede agli spazi emotivi di un Paese. Il fatto che ora si traduca la poesia scandinava vuol dire che siamo giunti ad un gradino superiore di conoscenza di quella cultura. 
Durante un convegno Bruno Berni ha parlato del tradurre l'intraducibile, chiedendosi cosa fossa l'anima della poesia. Ci ha detto quindi di essere in grado di tradurre prosa che non gli piace, ma di non riuscire proprio a tradurre la poesia che non gli entra nel cuore. Ed ecco qui l'anima che stavamo cercando. La poesia è ciò che non può essere semplicemente mediato dalla traduzione, ci dev'essere qualcosa in più. Confida poi di non aver mai scritto una poesia, perché forse il traduttore è uno scrittore pigro, un bravo scrittore che utilizza gli strumenti del linguaggio a dei livelli molto alti, ma che si appoggia sulle spalle di qualcun altro (grasse risate letterarie). Vi è dunque la necessità di immergersi nell'anima della poesia, bisogna indossarla, poi spogliarsene e mantenere le impressioni che ci ha dato, per poi ricucirsi addosso il vestito per trasmettere quelle sensazioni ai lettori. Nel fare questo vengono in aiuto la forma ed il suono. La forma porta l'osmosi tra una lingua e l'altra. Ricollegandosi a ciò che diceva Franco Buffoni, Bruno Berni è d'accordo sul fatto che l'intraducibilità non esista. Si stupisce poi del fatto che in Italia non si legga molta poesia, perché in un mondo frenetico, il mondo di Twitter, degli sms, leggere un romanzo-mattone sarebbe più impensabile. Una poesia invece può essere letta in metropolitana, è una forma letteraria adeguata al mondo moderno

Con questa riflessione, la parola viene passata ad Andrea Sirotti, che si occupa principalmente di tradurre poesia e narrativa post-coloniale, e che infatti inizia subito il suo intervento parlando di poesia post-coloniale. Nel tradurre questo tipo di poesia è infatti necessario dare la priorità all'altro, attraverso l'ascolto attivo: tu, cosa mi vuoi dire? Perché magari sono autori che hanno una concezione della forma molto diversa dalla nostra, ma allo stesso modo è interessantissima. Bisogna trovare lo spazio in cui l'autore non si senta estraneo, il traduttore ha necessariamente ceduto qualcosa, creando una sintesi che è comunque poesia.


Fondamentale la capacità mimetica, forse può essere un vantaggio anche il non essere poeti, ma avere comunque molta dimestichezza con gli strumenti della poesia. Bisogna comunque essere sempre capaci di produrre un testo che sia degno dell'autore. Inoltre il traduttore non è un individuo solitario: ha a disposizione tante persone che collaborano con lui. Traducendo poeti viventi ovviamente la prima collaborazione è quella con la voce dell'autore stesso. Se Sirotti si trova a tradurre una poesia femminile, spiega di aver bisogno di una traduttrice con la quale discutere e dialogare.

Infine, Valerio Nardoni pone la questione del bipolarismo del traduttore, che deve avere in sé una buona dose di umiltà insieme anche ad un pizzico di presunzione: è necessario essere ben a conoscenza del testo che deve essere tradotto, per poi poterlo cambiare. Racconta della difficoltà del tradurre dallo spagnolo. Aveva proposto la traduzione di alcune poesie di Federico Garcia Lorca all'editore Passigli, che però le aveva rifiutate, dopo un lavoro sovrumano e un dispiegamento di forze d'eccezione, una grande ispanista ed un grande italianista erano stati suoi consulenti. Alla fine Nardoni ha tradotto ventitré sonetti, ed ha impiegato un anno e mezzo coinvolgendo il mondo intero. Si chiede perciò quanto possa arrivare a costare un libro dietro a cui vi è questo tipo di lavoro, dal momento in cui, come ricordava Bruno Berni, la poesia in Italia non è nemmeno letta. La traduzione, però, è un evento culturale.

Io sono semplicemente incantata dalle parole di questi grandi uomini di cultura, mi sembra che siano state dette delle cose di vitale importanza, ed io, nel mio piccolo Mondo di Bea, sono piena di cuori ed unicorni, perché come avevo già ricordato altrove, alla maturità avevo portato una tesina dal titolo Essere o non essere poeta, ed ancora, a distanza di anni (tanti, dannazione), questi argomenti sono in grado di emozionarmi come non mai. Evviva!

B.               
             

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