domenica 30 novembre 2014

Paolo Cognetti, A pesca nelle pozze più profonde: presentazione a Tra le Righe, Pisa.

Ed ecco svelato il mistero. L'attesissimo evento di giovedì 27 novembre era la presentazione dell'ultimo libro di Paolo Cognetti, A pesca nelle pozze più profonde [minimum fax, 2014]. 
Facciamo, come al solito, le doverose premesse. Ho conosciuto Cognetti ovviamente grazie a Goffredo Fofi: Sofia si veste sempre di nero [minimum fax, 2012] fa infatti parte del Progetto di Lettura. Acquistato al Pisa Book Festival 2013, acquistato nuovamente per regalarlo alla mia amica Silvia per Natale, finalmente è arrivato il suo turno, e questo mese mi ha accompagnata in ospedale e in giro per il mondo. Un giorno ne pubblicherò la recensione, per ora vi basti sapere che ho letteralmente adorato questo romanzo scritto sotto forma di racconti, e di ciò mi continuavo a stupire ogni volta che cambiavo pagina, impaurita come al solito dalla narrativa italiana contemporanea... e invece no, Sofia è un libro meraviglioso. Immaginate quindi il mio entusiasmo quando ho scoperto che non solo a Pisa, ma pure in una delle mie librerie preferite, Paolo Cognetti avrebbe presentato la sua ultima opera! Ho smaniato per una settimana intera, e alla fine il momento è arrivato. Con la mia amica Erika siamo giunte in libreria con tipo tre quarti d'ora d'anticipo: una groupie che si rispetti deve fare per bene il suo lavoro! E così vi è stata anche l'occasione per vivere un momento della serie "le mirabolanti avventure di Bea": sono stata incaricata di andare a recuperare Cognetti al parcheggio, dove sono corsa festante ed emozionata; lo riconosco addirittura mentre era ancora in macchina: urlo senza troppi complimenti "Paolo!", mi improvviso parcheggiatrice abusiva, ci presentiamo, faccio le feste al suo bellissimissimo cane Lucky (sì lo so dovrebbe essere il contrario, cosa volete farci) e lo scorto finalmente a Tra la Righe, come se con me ci fosse un vecchio amico a cui mostro la città dove ho studiato. Tra un "questa è Lettere!", "ecco il mio Baretto del cuore", "questa è la biblioteca di Storia", "ho fatto la tesi su Faulkner", "che caldo porco che fa". Povero Paolo. Ci credo che vive sei mesi all'anno in una baita in montagna! Chiedo umilmente perdono per il disagio a cui lo ho sottoposto, ma non riesco a contenere l'entusiasmo. 



A parte qualche eccezione, infatti, ho sempre letto gente morta: ho iniziato a stupirmi del fatto che chi scrive libri non è necessariamente defunto il primo anno dell'università, quando mi capitava di incontrare professori di cui avevo letto i saggi critici... allucinazione immensa. E poi ho iniziato ad andare alle presentazioni di libri, ma quasi mai avevo già letto i romanzi di cui si parlava (tranne quando ho visto Stefano Benni, l'adorato Benni, e un giorno ve lo racconterò!), quindi a questo giro ero veramente, ma veramente emozionata. Ma passiamo finalmente al dunque. L'incontro è stato moderato da Maurizio Amendola (meglio conosciuto come Mau Orsorosso) e Michele Danesi di Finzioni Magazine: entrambi studiano alla scuola Holden di Torino, perfetti quindi per fare due chiacchiere sull'arte del racconto davanti un bicchiere di vino rosso. Mau ricorda che è sempre bello quando nelle librerie ci sono queste occasioni, ed io non potrei essere più d'accordo. La chiacchierata comincia parlando dei gesti che pensiamo che non abbiano a che fare con la scrittura, ma che invece c'entrano tantissimo: come la pesca a mosca. Paolo Cognetti ci racconta di quando era in montagna a scrivere Sofia, e del bisogno che sentiva di trovare le giuste metafore con la poesia. Un po' come per la religione, come ha capito leggendo Lo zen e l'arte del tiro con l'arco. Perché è molto difficile parlare di scrittura parlando di scrittura, viene più facile parlarne quando si parla d'altro. E così per Cognetti scrivere è un po' come costruire qualcosa di manuale o, in un altro senso, come pescare. Si rende conto che la pesca è una metafora già più volte utilizzata, per far capire come nello scrivere ci sia qualcosa di nascosto che devi cercare di tirare fuori; la pesca a mosca però è più difficile, richiede maggiori conoscenze: il richiamo cinematografico è immediato con In mezzo scorre il fiume, in cui un severo padre predicatore educa i figli al culto di dio per mezzo della pesca a mosca. Ed eccoci arrivati al punto: l'idea della pesca è simile all'idea del racconto, perché piano piano, un poco alla volta, impari come si fa.


Spesso abbiamo infatti un'idea sbagliata sull'arte dello scrivere, che deve girare sempre intorno alla trama. Alice Munro (premio Nobel per la letteratura nel 2013), una delle maestre indiscusse del racconto, ci parla delle storie simili alle strade. Lei però rifiuta la scrittura che assomigli ad una mappa, e la paragona invece ad una casa: uno spazio di cui non si può dire quale sia l'inizio o la fine, uno spazio in cui ci si può muovere liberamente. Lo scrittore diventa così non un camminatore che fa un percorso predefinito, bensì un esploratore. Tutto questo è legato al racconto, uno scritto in misura ridotta che ha in teoria una libertà d'azione sconfinata. Michele Danesi si interroga sul gigantesco punto di domanda che spinge a scrivere racconti. Nei romanzi si trova quasi sempre una risposta, mentre nei racconti ci sono delle questioni che rimangono aperte. Paolo Cognetti riflette allora sul fatto che il racconto ha un centro solo, che piano piano viene messo a fuoco, che però è la domanda stessa! Quando si parla di racconti si tende sempre a pensare alla figura retorica del finale aperto, che però non è una tecnica, bensì un'attitudine (e su questo Mau e Michele concordano abbestia). 
Riprende la parola Mau, introducendo una parte di A pesca nelle pozze più profonde che lo ha colpito in modo particolare. Paolo Cognetti abita in una casa dove sulla porta compare un cartello con scritto "affittasi", e gli chiede di raccontarci che cosa voglia dire. Lo scrittore milanese risponde che ha sempre avuto una passione per le case, sorta di ossessione degli scrittori, ed è anche una bella metafora: la casa è una forma di scrittura, perché curiosando nelle case degli altri, scorrendo i titoli dei libri sugli scaffali, aprendo il frigo, visitando il bagno, si riesce a scoprire la storia di chi vi abita. Ogni racconto di Sofia si veste sempre di nero è una casa. Come avevo scoperto a un corso di minimumfax, Paolo Cognetti vive sei mesi all'anno in montagna; d'inverno torna però in pianura, la sua casa viene affittata, e quindi in estate le persone la vorrebbero visitare, cosa che lo fa diventare piuttosto burbero (ma io non ci credo^^). La solitudine è infatti la malattia degli scrittori: lui cerca di conciliare la vita di città con lo stare da solo, che equivale allo scrivere. Il suo è un equilibrio molto precario, ma ha capito che la scrittura non può essere monastica, e si deve mettere a confronto con le persone (lo stai facendo benissimo, Paolo!) (in questo frangente penso tantissimo alla conversazione avuta con Francesco Targhetta, vincitore del Premio Ciampi per la Poesia 2014, un altro affascinante solitario). 

La chiacchierata si sposta poi sugli autori di racconti che hanno segnato il percorso letterario dello scrittore: Sherwood Anderson, Ernest Hemingway, Raymond Carver, David Foster Wallace, Alice Munro. In particolare la Munro ha un modo di raccontare che si avvicina tantissimo alla nostra memoria: il ricordo è molto difficile da narrare, come funziona, quando torna a galla, quali successioni contempla, i livelli di importanza che mette in gioco. La scrittura è anche un po' una fotografia, che solitamente mette in luce cosa è stato un attimo prima, o cosa è stato un attimo dopo. Una cosa assolutamente da non fare è mettere a confronto il romanzo con il racconto: è un paragone che proprio non ha senso di esistere. Come scriveva Julio Cortázar, il lavoro del fotografo è cercare di capire quali sono i confini, decidere quello che non sta dentro la fotografia, quale sia l'istante giusto per scattare, miscelando bene l'istinto e l'esperienza. Il racconto è dunque concentrato sull'occhio, lavora con ciò che si vede. E riecco la similitudine con la pesca, con il mistero, con il cercare di intuire attraverso quello che non si vede. Un'altra domanda che si deve porre il fotografo è: dove mi metto? Deve sempre cercare di assumere una posizione emotiva. In questo vi è una sorta di negazione del narratore onnisciente, perché il narratore deve decidere dove stare, che personaggi illuminare, da che punto di vista raccontare le storie. Il cinema ha radicalizzato questa prospettiva, e Paolo Cognetti, che ha studiato cinematografia, ha capito che anche questo linguaggio gli è congeniale, che gli piace capire cosa illuminare e cosa lasciare in ombra. 
Si prosegue citando echi letterari, Cuore di tenebra, Il grande Gatsby, Bartleby lo scrivano, i Twice-Told Tales di Nathaniel Hawthrone (io nel frattempo ho gli occhi a cuore e un sorriso ebete costante, e la mia testa non ne può più di annuire!), i Quarantanove racconti di Hemingway. Lo scrittore americano non ci racconta mai della sua America, le sue storie sono sempre ambientate altrove (Faulkner invece no! Il Sud! Il Mississippi! La contea immaginaria di Yoknapatawpha! La negazione che afferma!). E così è finalmente giunto il tempo per le domande dal pubblico (che nel frattempo ha riempito la libreria, quanta gioia!). Io alzo timidamente la manina e, incredibile ma vero, recupero la mia credibilità. Non ho smesso un attimo di pensare a Olive Kitteridge, il meraviglioso romanzo di Elizabeth Strout narrato sotto forma di racconti che avevo letto per il Progetto di Lettura (la recensione qui). Quando leggevo Sofia mi veniva di continuo in mente, e per la forma, e per la protagonista: anche Sofia, come Olive, non brilla infatti in simpatia. Chiedo quindi a Paolo un'opinione in merito e, udite udite, mi risponde che tale romanzo (che adora) è stato un punto di riferimento imprescindibile per scrivere Sofia! Credo di essere riuscita a fare il primo intervento pertinente di tutta la mia vita. Applausi. E niente. Da lì si parla dei punti d'ombra tra un racconto e l'altro, delle cose che non si sanno dei personaggi, di Cechov e poi di Richard Yates, che una volta ha detto che nelle vite americane non esiste una seconda possibilità. Allo stesso modo la pensava un po' anche Carver, fino a quando non se l'è passata veramente male, è arrivato a toccare il fondo e poi è rinato grazie alla scrittura. Forse, allora, nelle vite americane e più in generale in tutte le vite, esiste una seconda possibilità: nell'ultima fase della scrittura di Carver troviamo infatti racconti che parlano anche di redenzione, una sorta di epifanie liberatorie. E Paolo Cognetti conclude dicendo che "senza Carver non so nemmeno se saremmo qui", perché il grande scrittore americano è stato colui che ha messo in luce l'orgoglio dello scrivere i racconti, colui che ha davvero cambiato qualcosa, come aveva fatto Cechov nel passaggio dalla novella all'idea moderna di racconto. 

Il tempo a disposizione è finito. In Via della Polveriera mi avevano detto che i pomeriggi in libreria con Paolo Cognetti avevano un che di stregato, ma come al solito le mie aspettative sono state di gran lunga superate. Con uno scatto felino mi avvicino a Paolo con la mia copia di Sofia, e capisco perché, nonostante abbia fatto passi da gigante verso il mondo e-book, al cartaceo non potrò mai, ma proprio mai rinunciare: dove te le scrivono le dediche, sennò, gli scrittori meravigliosi? Torno a casa più felice che mai; la mia giornata si conclude, fatalità, con la mia amica Silvia, che non è potuta venire all'incontro ma è stata comunque con me. Ci mangiamo una pizza buonissima e ci guardiamo X-Factor, in modo da riequilibrare il mega pomeriggio culturale appena trascorso. E che diamine!

B.    

1 commento:

  1. L'ho letto in ebook, ma sono indecisa se comprarlo in cartaceo...
    È stato il mio secondo Cognetti, dopo Il ragazzo selvatico.
    Ora ho voglia di leggere qualche suo racconto per sapere come fa suo ciò che ha scritto sulla letteratura americana.

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