martedì 25 novembre 2014

Le gioie di Bea: la biblioteca, la pioggia, i libri e le anziane.

Dopo una settimana che definire intensa sarebbe un eufemismo, e dopo un lunedì di trapasso, stamattina sono tornata al sicuro della Mia Biblioteca. Dove però sono successi fatti incresciosi, di cui avremo modo di parlare prossimamente. Chiacchierando con gli amici bibliotecari, scopro che nel pomeriggio ci sarebbe stato un gruppo di lettura, coordinato niente meno che da Filiberto Segatto, mio professore di Lettere al liceo. Ma che bello! Poi però capisco che il libro di cui si sarebbe discusso era Accabbadora di Michela Murgia [Einaudi, 2009 - Vincitore Premio Campiello Letteratura 2010]. Panicopaura. Entro nel mode impopolarità abbestia, e dichiaro ufficialmente tutto il disagio che quattro anni fa provai a leggere tale libro. 


Mi fu consigliato dalla mia amica Francesca, un giorno d'estate, alla Feltrinelli di Firenze. Eravamo in piena Vacanza Dolce Vita, con amici stranieri venuti a trovarci in Italia, che per una buona mezz'ora (ok forse anche di più) se ne sono stati a rimpiangere i loro Paesi natali mentre noi spulciavamo tra gli scaffali e facevamo i soliti stolti urletti di gioia. Benissimo. In quel frangente, Francesca mi impone di acquistare Accabbadora, libro che l'aveva letteralmente conquistata. Era estate, faceva caldo, ero in vacanza. L'ho fatto: ho acquistato un libro di narrativa italiana contemporanea. E vi assicuro che per me, nel 2010, questo fatto rasentava i confini dell'impossibile. 
Comunque. Armata di buona volontà e supportata dall'entusiasmo dell'amica, inizio a leggere il suddetto libro. E mi piglia male. Immediatamente. Tempo zero proprio. Odio lasciare i libri a metà, e mi sono sforzata di arrivare in fondo, ma vi giuro che è stata una fatica immensa. Non sopportavo lo stile, non sopportavo ciò che veniva detto, e non capivo, non capivo perché stesse succedendo proprio a me. Una volta finito il libro, ho compiuto il gesto estremo: l'ho riposto nella biblioteca di famiglia, e non nella mia personale. Della serie, addio. Ti voglio solo dimenticare. 

E invece oggi ho deciso di dargli una seconda possibilità, perché se l'aveva scelto il professore del liceo, che io tanto stimo, allora qualcosa che mi è sfuggito ci doveva essere per forza. Così sotto una pioggerellina autunnale me ne ritorno, alle quattro, in biblioteca, salgo nella sala dove si sarebbe tenuto l'incontro, ed esplodo di gioia: ci sono le anziane! Ommioddio! (E c'è anche una prode studentessa del liceo). Mi sembra di essere in piscina, versione colta. Le signore sono vestite con cura, perfettamente truccate e pronte a cominciare la discussione sul libro del mese, che ostentano orgogliose davanti a loro. Saluto il professore, stupitissimo di vedermi lì, mi metto seduta e tiro fuori la mia copia, preventivamente recuperata dalla biblioteca grande. Ci sono. Fatemi capire dove ho sbagliato!


La conversazione inizia prendendo spunto da un modo di dire pesciatino (che mi sono già dimenticata), e divaghiamo per qualche minuto su peculiarità dialettali, etimologie e località limitrofe. Poi si torna a bomba sul libro, si parla della Sardegna, e la signora col golfino rosa più bello del mondo ci racconta emozionata che nel romanzo della Murgia ha ritrovato la terra verace e più contadina che ha imparato a conoscere durante le sue vacanze sull'isola. L'Accabbadora, Bonaria Urrai, è una vecchia sarta che accompagna le persone in fin di vita verso una morte dolce; è "l'ultima madre", e il suo è un ruolo socialmente riconosciuto, come sottolinea il professor Segatto, che ci fa riflettere sulla presenza o meno, in altri luoghi d'Italia, di una figura simile. Perché le signore ricordano bene la consuetudine delle famiglie più povere di "vendere" i figli, ma, almeno dalle nostre parti, non registrano invece quella dell'eutanasia "seriale". Tutte sono molto coscienti dell'attualità del tema (proprio ieri ne ha riparlato Umberto Veronesi), ed è bellissimo vedere come le tematiche di un romanzo si vivificano nel loro essere raccontate ad alta voce. Golfino Rosa riflette poi sulla difficoltà di accedere nelle diverse mentalità, nei diversi Paesi, nelle diverse età dei personaggi di un libro. E qui penso all'altro che è in noi e all'altro che è fuori di noi, e sorrido vedendo la teoria diventare pratica. Anche i personaggi diventano esseri quanto mai vivi e reali, si parla di Maria, Nicola, Andrìa, come se fossero persone davvero esistite, parenti lontani, creature bisognose di una parola di conforto.

Sentendo parlare così appassionatamente di questo libro, chiedo al professore una sua opinione, non prima di aver manifestato tutto il mio disagio in proposito. Così vengo finalmente smentita punto per punto: e per quanto riguarda la tematica, originale sia nella scelta di parlare di morte, che nel modo in cui si è scelto di parlarne, e per quanto riguarda lo stile, che è secco, quasi verghiano, uno stile che cerca di togliere anziché di mettere. Abbiamo quindi nel romanzo di Michela Murgia (romanzo realistico con forte approfondimento antropologico) un tema potente e originale, e un modo forte di raccontarlo. Viene spesso lasciata un'ombra di mistero su ciò che succede (e qui le signore intervengono con fare rivoltoso per discutere insieme su qualche punto rimasto poco chiaro), una sorta di fatalismo arcaico assolutamente ben congegnato. La prospettiva tutta al femminile chiude il cerchio, perché i passaggi fondamentali della vita sono appunto gestiti dalle donne. Le anziane da biblioteca a questo punto ricordando che oggi si celebra la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, così, tanto per dimostrare di essere sempre sul pezzo. Che meraviglia!



Insomma, le signore hanno in serbo per me un consiglio all'unanimità: "signorina, si vada a rileggere il libro! Perché i libri, sa, si capiscono meglio se letti almeno due volte. Io ad esempio ho letto Cent'anni di solitudine nel 1967, quando è uscito, e poi l'ho riletto non sa quante volte...". Benissimo: ho ufficialmente trovato il Mio Gruppo di Lettura. Ci lasciamo con il prossimo libro da leggere, per il 23 dicembre ("ommioddio! Ci troviamo prima di Natale?! Io porto i biscotti!!!"), Bagheria di Dacia Maraini. Io sono entusiasta (strano), perché dopo averla sentita parlare al Pisa Book Festival non vedevo l'ora di avere occasione di leggere un suo romanzo... e capite, lo commenterò con anziane che rimembreranno i bei tempi andati, felici di poter passare del tempo di qualità insieme, con un professore di lettere che le ascolta e le guida, e mi sembra una cosa tanto, ma tanto bella. 

B.           

PS. Qui Michela Murgia racconta la genesi del suo romanzo, sulla quale le signore si sono scervellate per mezzo pomeriggio!

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